ULISSE SARTINI

ANTOLOGIA CRITICA

Vittorio Sgarbi | 1995 | Critico d’arte

Sono certo che quando Sartini dipinge un ritratto, sa di essere figlio della cultura umanistica; sono altrettanto certo che è consapevole anche di essere un’eccezione, che è informato sul fatto che la cultura tecnologíca ha preso da tempo il sopravvento su quella umanistica e che per andare controcorrente ci vuole un coraggio assurdo, quasi una sorta di incoscienza.
Non parliamo poi del coraggio che ci vuole ad affrontare un genere come il ritratto “aulico”, in un’epoca che di aulico non ha più niente; trasformare le fattezze non sempre nobili di un’umanità ambiziosa e ingenua nella sua vanità autocelebrativa, probabilmente incosciente anch’essa, in quella di una stirpe eletta dal cielo è una creazione nella creazione che ha del prodigioso.
E benché Sartini faccia miracoli, non sempre gli può riuscire di riscattare totalmente un volto scialbo, un’espressione imbalsamata, un corpo insignificante.
Ma a guardare bene i precisissimi ritratti di Sartini, ci accorgiamo che quanto più sono accurati, tanto più aumenta la distanza che sentiamo nei confronti delle persone raffigurate.
C’è un senso di straniamento che ce le fa sembrare lontane, verosimili ma diverse, impalpabili anche nella loro assoluta concretezza.
Non c’è niente di strano o di nuovo; Sartini ha imparato che il realismo intenzionalmente accentuato, levigato da una luce intensissima e soprannaturale, perfino lezioso nella tornitura del modellato, è la forma più sottile ed inquietante dell’astrattismo.
Esasperazione del fisico, ci ribadisce Sartini, conduce al metafisìco, all’essenza concettuale della realtà.
Più l’occhio percepisce come credibile la riproduzione del reale, più questa sembra non assimilabile al vissuto ordinario.
Usare il realismo per dimostrarne l’impossibilità è un’altra espressione d’incoscienza, un’altra follia suicida.
Davanti a tante felici “incoscienze”, una sola, grande, inamovibile certezza: la strepitosa capacità tecnica.
E quando il soggetto non si è vestito a festa per la posa, quando non è impettito e mantiene la freschezza degli splendidi Bambini Khevenhiiller, Sartini dimostra tutta la sua bravura ed esibisce orgogliosamente la propria parentela ideale non con Annigoni, inevitabile riferimento per il suo talento ritrattistico, ma con Edita Broglio, con Achille Funi, con “Novecento”, con il meglio del realismo italiano di questo secolo.

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