ULISSE SARTINI

ANTOLOGIA CRITICA

Renata Carnielli | 1988

Sartini, lo nota immediatamente, è uno di quegli artisti (non molti) per i quali il dipingere è gioia, entusiasmo, amore per la bellezza, vita insomma.
Quel suo sdoppiarsi disinvolto tra un ritrattismo di pura derivazione classica, fiamminga e rinascimentale (echi fortissimi di Stultus e Annigoni; ma c’è anche un ben “nostro” Timmel che ci torna alla mente) e un “embriocosmo” (come lo definisce) dove trionfa fantascienza, il futuribile, la sperimentazione materica, può sconcertare.
La diffidenza per questa solo apparente frattura o dicotomia si muta presto in ammirazione.
Con la sua tecnica spettacolare e curatissima , Sartini potrebbe limitarsi al ritratto, certo più “facile” anche sul piano commerciale.
Comunque il suo ritrattismo è tanto “derivato” quanto vivacemente personale: le donne bellissime, gli uomini affascinanti, i bambini adorabilmente goffi o impacciati che compongono “conversation pieces” stile Settecento inglese, hanno tutti una “griffe” particolare.
Non tanto nella sontuosità dei colori, nell’espressività dei volti, negli sfondi che già Annigoni aveva mutuato dai classici e da Leonardo in particolare, ma nell’atteggiamento, rivelatore di personalità ben distinte; e le mani, perfino la scelta dei tessuti e gioielli, contano in questa ricerca psicologica forse più delle fisionomie.
Dopo questo mondo del presente espresso con i toni classici dei grandi maestri del passato, ecco il futuro dell’”embriocosmo” Nascita di astri, di galassie, formazioni molecolari, esplosioni atomiche, rivisitazioni areopittoriche di un certo futurismo, appunto.
E molti critici ai quali mi associo, vedono in questo il più autentico mondo pittorico di Sartini.
Che nell’”autoritratto con embriocosmo”, li coniuga e compenetra, non senza quel briciolo di ironica civetteria che si addice ai talenti autentici e perciò atemporali.

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