ULISSE SARTINI

ANTOLOGIA CRITICA

Prof. Stefano Fugazza | 2003 | Direttore del Museo Ricci-Oddi di Piacenza

IL RITRATTO COME ESALTAZIONE DELL’UMANITÀ.

Se considerata nella sua parabola, coll’inevitabile approdo, la vita dell’uomo ci appare per forza triste:
segnata dalla sofferenza, dalla coscienza dolorosa dell’impossibilità di superare i limiti terreni, e poi di fatto sigillata dalla morte.
Ma, con una non minore intensità, l’esistenza dell’uomo si pone sotto un segno ben diverso e diviene sinonimo di affermazione di sé, di realizzazione e di conquista, o almeno di adesione alla vita dell’intero universo.
Il fatto è che l’uomo, come da sempre hanno notato i filosofi e i poeti, ha una natura duplice, condividendo insieme l’animalità delle nature inferiori e la grandezza senza limiti degli esseri che ha posto al di sopra di sé, quelli cui, ha attribuito compiti immani, come sono la creazione del mondo e il giudizio finale.
Le due nature, come si sa, sono in ognuno di noi ine¬stricabilmente legate, a volte addirittura confuse; e il difficile sta appunto nel distinguere, nel riconoscere davvero, in noi e negli altri, l’una e l’altra parte.
Un pittore come Ulisse Sartini conosce bene, naturalmente, questa duplicità della natura umana, e non ignora i segni che il tempo incide sui nostri volti e dentro i nostri corpi, ma per qualche ragione che cercheremo di capire, di spiegare, dipinge i personaggi della sua affollatissima galleria come se fossero stati misteriosamente risparmiati, immuni dalla consunzione della carne.
E’ vero che spesso i modelli di Sartini sono giovani o giovanissimi, bambini e ragazze e giovani uomini che per forza di cose mostrano il loro volto più seducente, ma non si tratta solo di una questione di età.
Infatti anche nei casi in cui gli uomini e le donne’ dei ritratti hanno superato una certa soglia temporale, li vediamo comunque privi di rassegnazione, senza tracce di decadenza irrimediabile, ben lontani dal far capire che si stanno arrendendo al destino.
Si potrebbe obiettare che forse Sartini dipinge in questo modo per volere dei committenti, i quali gli imporrebbero, per così dire, un certo tipo di figurazione; ipotesi da scartare, solo che si ponga mente alla coerenza con cui il pittore realizza i suoi ritratti, certo portati avanti secondo principi suoi, indipendenti dalla volontà dei modelli.
Né si tratta di piaggeria nei confronti dei personaggi che si pongono di fronte a lui, al suo occhio prensile, rapido nell’afferrare una fisionomia e un carattere.
Semplicemente Sartini ha fatto una scelta.
Avrebbe potuto scegliere di esprimere la degradazione e la miseria e la vanità infinita dell’uomo; ha scelto di metterne in luce la grandezza, le potenzialità innumerevoli, la scintilla divina.
Questo non significa che egli si illuda sul conto dell’uomo; si rende ben conto delle sue meschinità, e dei tradimenti e dei disordini, ma preferisce andare alla ricerca di quanto c’è di positivo in ciascuno di noi: in sintonia, si direbbe, con l’insegnamento cristiano che riconosce in ognuno la possibilità del riscatto e della salvezza.
Non è un caso se gli uomini e le donne dei suoi ritratti si pongono in una felice relazione con il paesaggio, con la natura inquadrata da una finestra o un tendaggio o una porta.
Colori foschi caratterizzano invero tali sfondi, e cieli oscurati da molte nuvole, con una scelta che si rivela soprattutto di natura pittorica, perché la luce possa scivolare dolcemente, contrastata da rade ombre, sui primi piani del volto e del resto del corpo, e sugli abiti (qualche volta lo sfondo è anche animato da qualche personaggio, tratto dalla storia o dal mito, da qualche figuretta araldica che sembra allontanare ancora di più la scena in un passato favoloso).
Un’attenzione tutta speciale è riservata, come è ovvio, al volto, che si rivela non solo attraverso lo sguardo ma in vari altri aspetti e negli stessi particolari delle labbra, nella forma del naso e,dei capelli.
Da un certo tempo, al posto del personaggio idealizzato, talora di suggestione secentesca, di cui si diceva, troviamo sullo sfondo dei ritratti quelle forme circolari, intersecantesi l’una con l’altra, percorse da bagliori e da iridescenze, cui Sartini ha voluto dare il nome di “embriocosmo”.
Il suo scopo è quello di coinvolgere lo spazio nella scena principale, e viceversa di dilatare il significato, poniamo, di un ritratto, riecheggiandone le forme tutt’attorno, via via sempre più in là.
Fin verso il cosmo, appunto, verso l’universo, di cui ognuno di noi è solo una stilla, una particola in perenne trasformazione, talora illusa di una stabilità che non esiste.
Con l’embriocosmo, è come se Sartini reagisse alla fissità del ritratto, contrapponendogli il movimento inesauribile e cromaticamente variegato delle sue forme astratte, ricche di potenzialità, gravide di tutto quel che il mondo offre e che si manifesta con una sorta di germinazione magmatica.
E tale è l’attrazione per il tema embriocosmo che talora l’artista lo svincola dalla dipendenza alla figura e gli conferisce una, piena autonomia, una vita libera e tutta propria.
Che sia questione di ritratti (o di autoritratti), o degli embriocosmo in sé valevoli, non vale neanche la pena sottolineare, tanto è evidente, la sapienza con cui il pittore li costruisce: con una perfezione che trova ben pochi uguali, tale da rendere questi dipinti, prima di tutto, straordinari brani di pittura, che hanno un senso per loro stessi, indipendentemente da quel che eventualmente raffigurano.
Tutte le virtù di un pittore vero, con la ricerca appassionata e quotidiana, e quasi magica, della “ricetta” migliore per i colori e delle soluzioni migliori per la composizione e le singole forme, sono qui richiamate e messe in pratica, esercizio paziente e mai interrotto (del resto, l’eccellenza conseguita è dimostrata anche dalla qualità dei disegni, che non sono soltanto studi preparatori).
Tale pratica presiede anche alle prove nel campo dell’arte sacra, in cui l’umanità, che Sartini tanto considera ed esalta, diviene la ragione capace di sottolineare la perenne attualità di un messaggio.
Per questo talora le figure della storia sacra possono avere le fattezze di lui, del pittore; e per questo i suoi angeli sono creature terrene solo toccate dalla grazia, non troppo lontane da certe donne amorosamente ritratte.
Nella visione di Sartini, infatti, la storia di Dio e quella degli uomini non sono due realtà separate o, peggio, contrapposte; esse si richiamano di continuo, sulla base di una religiosità profondamente sentita, continuamente Perché ci troviamo di fronte a un pittore sincero, che mette a frutto ogni giorno il principio del “nulla dies sine linea”; animato da una visione innocente e istintiva del mondo e della propria pittura.
Certe problematiche di carattere teorico relative ai linguaggi artistici e alle loro funzioni lo lasciano perfettamente indifferente:
per lui la pittura rimane un bisogno interiore inesplicabile e assoluto, e l’approdo definitivo a un mondo di bellezza ideale, umana eppure stranamente non toccata dalle traversie del mondo, intatta e perfetta sempre.

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