Ma non è per meravigliare i riguardanti che Sartini sostituisce alla globalità della veduta l’empirismo lenticolare di brani isolati.
Spesso, davanti alle sue particolareggiatissime descrizioni, si ha la sensazione che egli tenda a presentare le cose non come si vedono, ma come “sono”.
In Beatrice Carraro del 1995 e in Alessandro Santucci del 1999, la perfetta crisi di ogni oggettività rappresentativa o conoscitiva (quella, per intenderci) che Robert Klein chiama “l’agonia del referente” ha un rovescio positivo, perché coincide con la genesi della creatività del pittore piacentino.
Proprio là dove si perde in un’analisi che sembra senza oggetto, l’immaginazione crea l’inesistente, disegna invisibili trame ed eventi poetici, simili a due bellissimi libri della fine del ventesimo secolo, “La vie mode d’emploi” di George Perec e “Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Italo Calvino.